Cronaca di un copywriter a Melbourne - Giorno 132



Sono uno studente. Sono un videomaker. Sono un cameriere. Sono un viaggiatore. Sono un sommelier. Sono un copywater. Sono un uomo di casa. Sono libero. Sono vegetariano. Sono barbuto. Sono felice. Sono persone che mi ero dimenticato di essere e che ho ritrovato dall’altra parte del mondo.



Colonne massicce in stile vittoriano sovrastano qualche decina di persone. C'è un ragazzo asiatico alla mia sinistra, sta scattando delle fotografie alle statue. In basso, seduta in un angolo, una ragazza sta leggendo un libro. Si sistema i capelli e sorride senza distogliere lo sguardo dalle righe. Intorno a me una folla annoiata, ansiosa, assonnata.

Puntuale, come ogni mattina. Ore 10. I grandi portoni verdi della State Library of Melbourne si spalancano. Un fiume di persone si riversa tra gli scaffali, le poltrone. Si aprono i laptop, si sistemano i libri. Decine di caffè da asporto connettono i cervelli, mentre il network della State Library connette le loro appendici digitali alla rete. Passo un paio di ore a scrivere. Tante persone diverse, tante domande diverse. Cerco informazioni per il futuro e mi tengo in contatto con il passato.

Esco dalla libreria ed un sole autunnale mi acceca per qualche attimo. Alla mia destra, la statua di San Giorgio mi fissa acerba, mentre sotto di lui il drago grida silenzioso. Alla mia sinistra Giovanna d'Arco, a cui Nicolas, il mio più caro amico a Melbourne, porta un rispetto quasi religioso.
Salgo le scale e comincio ad affettare la cipolla. Per quando lei entra in casa c'è già il profumo di buono e la pasta è dentro la pentola. Passiamo il pranzo a parlare, il pomeriggio a scattare foto e a portare avanti i progetti.  Ci salutiamo all’ora del tè. Salgo sul tram 72.
Mi metto le cuffie ed ascolto musica, mentre cado dentro ad una nuvola di pensieri. Mi immagino spesso le mie colline dolci in quell’angolo di Toscana, mentre davanti a me vedo scorrere San Kilda road con il suo traffico e la nebbia sempre più fina.

Entro in cucina rompendo il muro di vapore che la separa dalla sala. Saluto i manager, i cuochi, gli aiuto cuochi, i lavapiatti, le blatte giganti, gli altri camerieri e prendo il cartellino. Timbro alle 16.54. Sono 6 ore tra piatti e posate, menù, wogs, fettuccine Novello, spaghetti bolognese, chicken parma, “How’s going mate?”, bestemmie in tutte le lingue, commenti sulle clienti, caffè, caffè doppi, dammiunaltrocaffètiprego.

Esco sullo scoccare della mezzanotte. Su Chapel Street resta l'eco della movida. Grida troppo acute e gonne troppo corte mi sfilano accanto. Sul cellulare c'è un messaggio di Jay, ha novità sulle farm.
C'è finalmente qualcosa di libero in Queensland.

Mi addormento tra le braccia di lei, sotto i piumoni alti 3 dita.
Tra meno di un mese non avrò più nè quelle braccia a stringermi, nè questi piumoni a coprirmi.


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